ProgettoTransgender PROGETTO NON PIU' ATTIVO

Progetto per l’inserimento in Comunità Terapeutica di soggetti transgender affetti da patologia da dipendenza di sostanze stupefacenti e correlate

...Ciò di cui noi soffriamo è un dispotico
dualismo assoluto, che sostiene che si può
essere solo l'uno o l'altro.
Ma io sono sempre due in un corpo solo,
sia maschio che femmina.
Sono la personificazione dello hieros gamos:
il convergere di opposte qualità interiori...
Gloria Anzaldùa

Identità di Genere

Attualmente si parla molto di "transessualismo", al punto da essere diventato quasi un fenomeno di costume, un argomento di conversazione di gran moda nei vari salotti televisivi.
Il tema viene di volta in volta affrontato con tono ora leggero, ora impegnato; talvolta l'intento è quello di fornire una seria informazione sull'argomento, più spesso viene utilizzato come fenomeno di incremento dello share in programmi di intrattenimento con velleità giornalistiche.
Probabilmente se ne parla anche troppo, ma non in modo sufficientemente adeguato.
Attraverso questo progetto l'intenzione della Comunità Terapeutica "Il Sorriso" è quella semplicemente di aprire una finestra sul mondo dell'intervento terapeutico mirato a persone che abusano di sostanze stupefacenti e quindi ne sono dipendenti patologiche ma al contempo presentano l'ancora più complesso problema di una identità di genere e sessuale confusa e non accettata.
L'ambiguità sessuale ha sempre suscitato interesse e curiosità tanto che sin dall'antichità classica ha inspirato miti, leggende, credenze ed opere d'arte ma solo agli inizi del XX sec ci sono stati radicali mutamenti nel modo di considerare la sfera sessuale.
Nel corso degli ultimi trenta anni l'interesse della comunità scientifica per il fenomeno transessuale è cresciuto in maniera esponenziale, così come è testimoniato dall'evoluzione della stessa terminologia.

Il primo tentativo di una discussione sistematica su tale oggetto è da ricercare nella psicopatologia psichiatrica di fine 800 inizi 900, periodo in cui all'attuale transessualismo non era riconosciuta una propria autonomia, tanto da essere posto in continuità con altre perversioni quali l'omosessualità ed il travestitismo.
Anche se si ritiene che sia stato Fenichel a descrivere il primo caso di un transessuale nel 1853, il primo testo che tratta dell'argomento risale al 1886, anno in cui fu pubblicata la prima edizione di Psychopathia Sexualis di Krafft-Ebing.
In questa opera sono presentate due autobiografie famose i cui autori erano affetti da quella che Ebing definì, metamorfosi sessuale paranoica e nelle quali emerge chiaramente il legame tra il cambiamento di sesso e l'esigenza di assumerne l'appartenenza femminile.
Krafft-Ebing considerava lo stato di questi due soggetti come una manifestazione della "sensibilità sessuale invertita" già riscontrata da Westphal nel 1870.

Nel 1910 fu Magnus Hirschfeld ad impiegare per la prima volta il termine "Transvestitismus", riferendosi a quella condizione in cui alcuni individui tendono ad indossare l'abbigliamento del sesso opposto, collocandoli sul piano nosografico, in quello che egli definì stadio sessuale intermedio.
Nel 1914 Ferenczi in un articolo intitolato "L'omoerotismo: nosologia dell'omosessualità maschile" sostituisce il termine omosessualità con quello d'omoerotismo, enfatizzando la dimensione della sensibilità, cioè la dimensione psichica, rispetto a quella biologica e comportamentale.
Freud nei "Tre saggi sulla teoria sessuale" pone l'accento sulla bisessualità intrinseca degli esseri umani rifacendosi al dato biologico e costituzionale da un lato, ma la considera anche in termini di identificazioni e di posizioni edipiche.
Non esiste una sessualità naturale, si tratta sempre di psicosessualità, di una costruzione relativamente indipendente dalla biologia.
La differenza anatomica, non di per se stessa ma attraverso il significato che assume, modellerà le relazioni oggettuali.
Il termine transessualismo, dopo essere stato introdotto in maniera a specifica da Hirschfeld, ritorna nel 1949 quando David O. Caudwell in "Sexology Magazine" descrisse il caso di una ragazza che desiderava "ossessivamente" essere un uomo, denominando tale condizione psychopathia trans-sexualis. Egli adoperò tale termine per connotare un quadro clinico all'interno delle disforie di genere, cioè uno stato d'animo caratterizzato d'angoscia relativa al rifiuto del proprio sesso anatomico.

Al transessualismo viene però riconosciuta una propria autonomia solo grazie ad un endocrinologo e sessuologo Harry Benjamin che in quell'anno pubblicò un articolo sulla rivista International Journal of Sexology, dal titolo "Transvestitism and transsexualism".
Benjamin scrisse: "I veri transessuali sentono di appartenere all'altro sesso desiderano d'essere e di operare come membri del sesso opposto, non di apparir tali soltanto; per essi, i loro caratteri sessuali, tanto primari (testicoli), quanto secondari (pene, e gli altri), sono deformità disgustose che devono essere trasformate dal bisturi del chirurgo".
Questo intervento, pur non essendo il primo, contribuì ad aprire un dibattito sull'argomento ed oggi tale termine rimanda a tutte quelle persone che sentendo il proprio sesso psicologico, non corrispondente a quello anatomico, desiderano ottenere la riattribuzione chirurgica del sesso (RCS) e la rettificazione anagrafica, così da poter soddisfare l'esigenza di divenire un membro del sesso opposto.
Il dibattito su quale fosse la definizione scientifica più corretta di tale fenomeno non si interruppe.

Nel 1980 si giunse comunque alla comparsa della categoria clinica di DIG Disforia Identità Genere, definizione tuttora utilizzata nel DSM IV.
La comunità scientifica continua tuttora a dibattere ampiamente sull'argomento, e attualmente si discute, fra le altre cose, dell'eventualità di eliminare dal DSM la categoria diagnostica DIG.